Storie e leggende della Pasrtiera
Dolce napoletano e pasquale per eccellenza, la pastiera è realizzata con ricotta, grano e uova. Si comincia a prepararla il giovedì santo per essere mangiata il sabato precedente la domenica della Resurrezione sulle tavole dei partenopei e a Pasquetta. La sua importanza è stata anche affermata a livello ufficiale con il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano. Pochi, però, sanno che questa pietanza ha radici antichissime, che risalgono addirittura alla nascita stessa di Napoli e al paganesimo, prima ancora di diventare emblema della festività cristiana.
Pastiera e leggenda della sirena Partenope Narra la leggenda che ogni primavera la sirena Partenope emergeva dalle acque del golfo per salutare il popolo di Napoli, allietandolo con canti d’amore e di gioia. Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d’amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un così grande diletto, decisero di offrirle quanto di più prezioso avessero.Sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita che sempre si rinnova; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l’acqua di fiori d’arancio, perché anche i profumi della terra solevano rendere omaggio; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani del mondo; infine il miele (lo zucchero), per esprimere l’ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l’universo. La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
Secondo un'altra tradizione, invece, la sua creazione sarebbe legata al mondo dei pescatori. Le mogli di quest'ultimi, narra il mito, avrebbero lasciato una volta sulla spiaggia cesti piene di ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d'arancio come offerta al Mare affinché consentisse ai loro uomini di tornare sani e salvi a casa. Ma durante la notte le onde mischiarono tutti questi prodotti e al loro ritorno, il giorno dopo, avrebbero trovato in quelle stesse ceste un dolce già pronto, cioè la pastiera. Il mare non solo gli aveva riportato i consorti sani e salvi ma lasciò loro anche un dolce fantastico. Ad ogni modo e in entrambi i casi, è chiaro il legame della ricetta con gli antichi riti pagani per la celebrazione della primavera: in particolare, il frumento simboleggiava un augurio di ricchezza e fecondità, mentre le uova la vita primordiale che prende forma. Ancora la farina rappresenta la ricchezza, la ricotta l'abbondanza, i fiori d'arancio ricordano il profumo della terra campana e lo zucchero la dolcezza.In molti mettono in relazione la leggenda di Parthenope e della pastiera napoletana con il culto di Demetra, dèa del grano e della fertilità della Terra, e nume patrio della Neapolis greco-romana al pari di Apollo e dei Dioscuri Castore e Polluce. Secondo alcune ipotesi il dolce pasquale faceva parte di quel ricco ventaglio di offerte votive portate in processione dalle sacerdotesse pagane, un’usanza solo successivamente tramandata nella tradizione cristiana.
La pastiera e la regina che non sorride mai; Anche alla pastiera è legato un “racconto” storico che riguarda il regno. Si racconta che Maria Cristina di Savoia, figlia di Maria Teresa D’Austria, consorte del re Ferdinando II° di Borbone, soprannominata dai soldati “la Regina che non sorride mai”, cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere, compiaciuta alla bonaria canzonatura del Re che sottolineava la sua evidente soddisfazione, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la Pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.Da qui deriverebbe anche il detto "magnatella ‘na risata", tipica frase che sollecita le genti alla ilarità.
La vera ricetta delle suore di S. Gregorio Armeno
Al di là dei presunti legami con la cultura pagana, la ricetta della pastiera così come la conosciamo oggi sarebbe nata nel sedicesimo secolo tra le mura di un convento di San Gregorio Armeno, la famosa strada dei pastori nel cuore del centro storico di Napoli. Una delle suore benedettine che lì viveva volle realizzare un dolce che potesse unire insieme alcuni degli ingredienti più simbolici del periodo pasquale, in primis le uova, che rappresentano nella simbologia cristiana la nascita a vita eterna dell'uomo attraverso la morte e Resurrezione del Figlio di Dio. Ben presto, diventarono famose le pastiere realizzate dalle suore del monastero, che preparavano in grande quantità durante la settimana santa per offrirle ai signori della ricca borghesia partenopea.
Una delle ricette più antiche la troviamo nel testo di Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino. Questi, infatti, nel suo “Cucina Teorica-pratica” del 1837, ci regala la preparazione dell’antenata delle attuali realizzazioni di questo classico della pasticceria napoletana:
“Piglia miezo ruotolo de grano buono, e sciveto aceno aceno, se nfonne, e po lo pise dinto a lo mortaro, mperò senza farlo rompere ma co la pesaturo arravogliannolo sempe pe dint’o lo stesso mortaro pe farne luvà chella vrenna, ncioè, chella scorzetella che tene; doppo lo miette a battere per 24 ore, e quanno sè cuotto lo furraje buono arreffreddà, e po piglia no ruotolo de recotta bona senza siero, la mrnìsche co lo grano, dannoce nauta pestatella dint’a lo mortaio, doppo nce miette doje rotala di zuccaro fino, e pistato, no poccorillo de sale, nce sbatte na dozzana d’ova, e n’onza de cannella fine, e no tantillo d’acqua e quanno s’e buono rammollato, nce miette tutte sciorte de sciuruppate; farraje la pasta ordinaria dinto a na tiella sodonta de nzogna, e cce miette la paperotta de la pastiera facennoce ncoppa na gratiqlia de pasta purzì, e la farraje cocere a lo forno. Vi ca chesta è la pastiera la chiù accellente che nce pozza essere.”
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